Nel panorama del diritto penale italiano, la sentenza n. 28594 della sesta sezione della Corte di Cassazione, depositata il 16 luglio 2024, rappresenta un punto di riferimento significativo in tema di natura, efficacia e limiti del cd. mutamento giurisprudenziale.
Il caso analizzato riguarda un ufficiale di polizia accusato di una serie di accessi non autorizzati alla banca dati SDI (Sistema di Indagine), utilizzata dalle forze dell'ordine per verificare lo stato delle denunce. Gli accessi risalgono al novembre 2016 e sono stati eseguiti nell’ambito di un'indagine più ampia a carico di un Commissario, accusato di fornire informazioni riservate a terzi. In particolare, il ricorrente è stato accusato di aver comunicato informazioni coperte da segreto istruttorio al padre di un individuo coinvolto nell'indagine.
Il ricorso per Cassazione in esame si basa sull'errata applicazione della legge penale. In una delle censure è stata richiamata la sentenza a SU della Suprema Corte, la n. 4694 del 2011, più nota come sentenza Casani, che era stata pronunciata cinque anni prima. Secondo questa sentenza, l'accesso abusivo a un sistema informatico poteva essere imputato a un pubblico ufficiale solo se avesse violato le prescrizioni del titolare del sistema. Pertanto, all'epoca dei fatti, il ricorrente aveva agito confidando nel fatto che la sua condotta fosse conforme alla prassi dell'epoca e, quindi, non penalmente rilevante.
Nel 2017, un anno dopo i fatti contestati, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pronunciato la sentenza n. 41610, nota come "sentenza Savarese", che ha ribaltato la precedente giurisprudenza, stabilendo che integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico o telematico non solo chi viola le prescrizioni del titolare del sistema, ma anche chi accede o si mantiene nel sistema per finalità estranee a quelle per cui l'accesso era stato autorizzato. Questo cambiamento ha reso la condotta del ricorrente penalmente rilevante, sebbene all'epoca dei fatti egli potesse legittimamente ritenere che la sua azione fosse lecita.
Uno dei punti chiave della decisione della Corte riguarda il principio di prevedibilità delle decisioni future. Questo principio stabilisce che il mutamento giurisprudenziale non può retroattivamente ampliare la portata di una norma penale, poiché nessuno può essere punito per un fatto che non era considerato reato al momento in cui è stato commesso. Il ricorrente, in questo caso, non poteva prevedere che la sua condotta sarebbe stata successivamente giudicata illecita sulla base di una nuova interpretazione giurisprudenziale.
La sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato anche il tema della colpevolezza e della cosiddetta "rimproverabilità soggettiva". Secondo il principio costituzionale sancito dalla sentenza n. 364 del 1998 della Corte Costituzionale, l'ignoranza inevitabile della legge penale esclude la colpevolezza. Questo principio si applica anche quando il mutamento giurisprudenziale rende penalmente rilevante una condotta che, al momento dei fatti, era considerata lecita. Nel caso in esame, il ricorrente non poteva prevedere l'evoluzione della giurisprudenza e, quindi, non può essere considerato colpevole per una condotta che all'epoca era legittima.
Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione rappresenta un esempio significativo di come un mutamento giurisprudenziale possa influenzare la portata applicativa di una norma penale. La sentenza Savarese ha introdotto un'interpretazione dell'accesso abusivo ai sistemi informatici, tale da estendere il concetto di abuso anche a quei casi in cui l'accesso, in base alla lettera della norma, risultasse formalmente legittimo, ma effettuato per scopi illeciti e ultronei. Questo cambiamento solleva questioni delicate legate al principio di colpevolezza e alla prevedibilità delle conseguenze penali delle proprie azioni. Il principio di "prevedibilità delle decisioni future" diventa fondamentale per garantire che le norme penali non siano applicate retroattivamente in modo da sorprendere il consociato, e che l'evoluzione della giurisprudenza sia gestita in modo equo e trasparente.
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